Ancora pochi in italia i Comuni digitali. Solo il 35% tengono il passo

Attualità — By on 2017/07/26 09:09

Il treno dell’innovazione digitale è partito ma è una monorotaia in troppi Comuni italiani, nonostante i miliardi di fondi europei da sfruttare e che rischiano di essere almeno in parte sprecati. Il 35 per cento dei Comuni italiani, in particolare, è fermo a un’era pre-digitale e così ben un italiano su tre è tagliato fuori dai vantaggi dei nuovi strumenti per quanto riguarda il rapporto con la pubblica amministrazione. Niente internet.

È quanto emerge dal nuovo studio pubblicato oggi dagli Osservatori del Politecnico di Milano. Ed è un problema se molti Comuni sono così poco pronti al cambiamento, perché proprio adesso è la fase cruciale per mettere a frutto circa 6 miliardi di fondi disponibili per innovare la pubblica amministrazione da qui al 2020. In ballo – ricordiamolo – c’è l’ultima opportunità per l’Italia di avere una pubblica amministrazione che funzioni meglio, che smetta di penalizzare con la burocrazia cittadini e imprese; che dia servizi migliori, sprechi meno soldi, sia più trasparente e meno corrotta.

Il quadro degli Osservatori ha qualche luce. In particolare per la diffusione, crescente, degli strumenti di pagamento elettronici nelle amministrazioni pubbliche e del digitale nelle scuole.

Preoccupante è soprattutto però la situazione dei Comuni. “Solo il 4% dei Comuni è un vero “Digital Champions”, mentre il 35% è totalmente “Non Digital”, ma nei fatti il 30% della popolazione italiana non può interagire online con la Pubblica Amministrazione Locale perché non ci sono servizi interattivi”, si legge. Il rischio è che gli investimenti in innovazione restino fermi e quindi si sprechino le nuove opportunità. “Dalla ricerca emerge che gli investimenti in innovazione digitale resteranno immutati nel 2017 per oltre il 60% degli enti locali e aumenteranno nel 30% dei casi. Solo nel 44% dei Comuni c’è già almeno un progetto di innovazione in corso e nel 22% una delega tecnica dedicata all’eGovernment. Appena il 17% ha partecipato a progetti finanziati con fondi diretti europei, chi non l’ha fatto trova difficoltà nello sviluppare un’idea progettuale (44%), gestire il progetto (32%), coordinare i soggetti costituenti il partenariato (29%)”.

“Siamo ancora a questo punto per due motivi”, dice a Repubblica Giuliano Noci, responsabile scientifico dell’Osservatorio eGovernment, autore della ricerca. “Primo, nella PA italiana sono scarse le competenze che servono all’innovazione perché abbondano solo quelle giuridiche. Secondo, serve un impegno da parte dei dirigenti della PA e quindi una migliore governance del cambiamento sul territorio”. “Uno dei principali motivi per cui il digitale fatica nella PA è che la carta permette con più facilità le pratiche della corruzione”, aggiunge Paolo Coppola (PD), a capo della Commissione d’Inchiesta parlamentare per gli sprechi nella spesa pubblica informatica.

“Abbiamo scontato che fino a poco fa anche a livello centrale la governance di questi temi era disarticolata, tra diverse strutture- aggiunge Noci: l’Agenzia per l’Italia Digitale, il Team Digital di Diego Piacentini alla Presidenza del Consiglio, l’Agenzia della Coesione”. “Ma ora finalmente siamo sulla strada giusta, come dimostra l’arrivo, a lungo atteso, del Piano triennale per la spesa informatica pubblica”, dice Noci.

Da qualche giorno, a quanto risulta, il Team Digital e l’Agenzia hanno avviato un programma di stretta collaborazione sui progetti. “Con un incontro il 19 luglio a Palazzo Chigi, abbiamo avviato percorso di lavoro partendo dalle Regioni e poi arrivare alle Città metropolitane per coordinare i progetti digitale di tutto il territorio con il piano triennale della spesa pubblica ICT”, dice a Repubblica Antonio Samaritani, a capo dell’Agenzia. “E li coordineremo nel dettaglio, con un piano di accordi che stipuleremo con le Regioni entro il 2017″.

“Si vede che il lavoro svolto da Agid e dal Team digitale funziona, ma è evidente che vanno potenziati e vanno creati dei meccanismi di sistema”, dice Coppola. “Penso che Assinter, l’associazione delle in house regionali, potrebbe essere un attore da sfruttare maggiormente, soprattutto per aiutare i piccoli comuni che, evidentemente, non hanno a disposizione le risorse per mettersi al passo. Non è accettabile che un terzo della popolazione veda calpestati i suoi diritti digitali. Parallelamente al piano strategico della banda ultra larga che si occupa di portare connettività a banda ultralarga proprio in quei territori, andrebbe sviluppato un progetto collaborativo per portare online i servizi dei piccoli comuni”, continua Coppola.

La visione di Simone Puksic, da pochi giorni presidente di Assinter, a quanto da lui dichiarato, è proprio quella di utilizzare le società in house regionali, in collaborazione con le Regioni, per fare da ponte tra il Governo e gli enti locali dove diffondere la trasformazione digitale.

Concorda Laura Castellani, responsabile per le Regioni dei temi legati ai servizi digitali al cittadino: “Il problema è che il processo di digitalizzazione della PA locale può essere davvero portato a termine solo con una forte collaborazione tra il livello nazionale ed il livello Regionale mettendo a disposizione le competenze in grado di aiutare i Comuni a digitalizzare. Cosa che da soli non riusciranno mai. È fondamentale l’aiuto delle Regioni in questo campo, non è pensabile che all’interno dei Comuni ci siano le competenze per poter fare questo processo”. La risposta dell’Agenzia, con il Team Digital, è appunto quella di lavorare con le Regioni e le Città Metropolitani ad accordi vincolanti perché tutti i cittadini potranno godere dei benefici della rivoluzione digitale nei rapporti con la pubblica amministrazione.

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