Pensioni, Damiano e Sacconi contro gli adeguamenti automatici: “Serve gradualità”

In Primo Piano — By on 2017/07/13 11:03

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Nel 2011 sono stati catapultati improvvisamente al 2017 dalla riforma Fornero. Adesso, per la stessa ragione, migliaia di lavoratori rischiano di dover aspettare ancora un altro anno per la pensione, per via del prossimo adeguamento dell’età all’aspettativa di vita, un automatismo introdotto dalle normativa previdenziale voluta dal governo Monti. A dire no, a chiedere al governo e al Parlamento di ripensare una riforma caratterizzata da “una totale assenza di norme di transizione, che umanizzano qualunque riforma”, una coppia inedita ma per la prima volta decisamente molto affiatata: i presidenti della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano (Pd) e del Senato Maurizio Sacconi (Epi). Il rinvio del prossimo adeguamento, ritengono, è doveroso verso i pensionandi ma anche per tutti gli altri lavoratori, dal momento che “il sistema italiano si caratterizza già ora per il primato globale dell’età di pensione”. “Fermi restando gli obiettivi di sostenibilità nel lungo periodo – aggiungono – un po’ di buon senso aiuterebbe la società a ritrovare fiducia nel sistema previdenziale”.

L’unica via possibile per fermare un automatismo che altrimenti scatterebbe in autunno, all’indomani della pubblicazione da parte dell’Istat dei nuovi dati sull’aspettativa di vita degli italiani, è la prossima legge di Bilancio. “Visti i tempi stretti, una norma della legge di Bilancio potrebbe essere la sede naturale per modificare i criteri di allungamento dell’età pensionabile”, suggeriscono Damiano e Sacconi.

Damiano. “Se dovessimo procedere di questo passo, dal 2019 con adeguamenti biennali e poi a salire, non solo avremo i 67 anni nel 2019, ma nel 2051 arriveremo a quasi 70 anni. E’ evidente che questa scala mobile applicata al momento della pensione va affrontata con una una nuova normativa che non solo impedisca di arrivare allo scalino del 2019 ma impedisca il procedere di questa gradualità automatica nel corso del tempo. E, tra l’altro, non solo l’età della pensione si sposta continuamente con questa scala mobile, ma paradossalmente più tardi si va in pensione e peggio agiranno i coefficienti di compensazione (che riguardano le pensioni calcolate con il metodo contributivo). C’è un meccanismo perverso che fa in modo che più tardi si va in pensione, peggio agiscono i coefficienti di trasformazione, annullando gli effetti positivi dei nuovi anni che si vanno ad aggiungere. E’ una contraddizione che si sia fatta una battaglia per la flessibilità, con l’anticipo a 63 anni con l’Ape, e contestualmente si abbia adesso un ulteriore aumento dell’età della pensione”.

Sacconi. “Io e Damiano ci siamo caratterizzati in passato per le opinioni diverse, ma stavolta, come dicono a Roma, quanno ce vo’ ce vo’! La manovra Fornero non ha di fatto previsto una vera transizione, per cui persone già prossime all’età di pensione all’atto della sua approvazione hanno subito l’allungamento dell’età lavorativa fino a sei anni. Occorre tornare a una logica di umanità, una logica troppo tecnocratica ci ha portati oltre. Un ulteriore allungamento si tradurrebbe in un atto di affievolimento del patto tra lo Stato e il cittadino, con svantaggi ulteriori per le donne, che hanno una situazione contributiva più frammentata. Non voglio negare di essere stato il padre del collegamento tra l’età pensionabile e l’aspettativa di vita, ma lo immaginavo in un contesto diverso dalla riforma Fornero. Quel che è troppo è troppo”.

Il confronto con gli altri Paesi. “In Austria – spiega Damiano- gli uomini vanno in pensione a 65 anni e le donne a 60. In Belgio gli uomini a 65 anni e le donne con pensione anticipata. In Danimarca entrambi a 65 anni. Poi ci sono anche dei processi di ‘adeguamento’ come in Germania dove si arriverà a 67 anni ma nel lontano 2029″. C’è la Svezia con un sistema flessibile che pone l’età della pensione tra i 61 e i 67 anni. La Spagna con 65 anni, la Polonia con 60 anni per le donne e 65 per gli uomini. L’Italia batte tutti.

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