Pensioni. Quota 100 e quota 41. Cosa sono e perché se ne parla

Attualità, News Utili — By on 2018/01/30 17:55

 

Quota 100 e Quota 41: due espressioni che ricorrono sempre più spesso quando si parla di pensioni. Si tratta dei due pilastri su cui M5s e (forse) Lega vorrebbero basare la nuova riforma del sistema previdenziale in caso di abolizione (o superamento) della legge Fornero che fissa a 67 anni la soglia per andare in pensione. Ma che cosa significano esattamente Quota 41 e Quota 100?

Detta in poche parole la Quota 100 mira a ripristinare la pensione di anzianità abolita dalla riforma Fornero: un lavoratore potrà andare in pensione una volta che, sommando l’età anagrafica con la sua anzianità contributiva, il risultato sia pari o superiore a 100. La Quota 41 prevede invece come condizione un’anzianità contributiva di almeno 41 anni. Ma ovviamente entrambe le proposte possono essere declinate in vari modi.

Nel programma di centrodestra non si fa riferimento né alla “Quota 100″ né alla “Quota 41″. La possibilità di andare in pensione dopo 41 anni di contributi viene però  menzionata espressamente sul sito della Lega Nord, dove si legge testualmente che “dopo 41 anni di contributi la pensione è un diritto non negoziabile”.

Di “Quota 100” ha invece parlato il parlamentare leghista Massimiliano Fedriga, spiegando che “la nostra proposta per la riforma delle pensioni prevede la Quota 100 e la Quota 41. Quota 100 vuol dire che la somma dell’età anagrafica e contributiva è uguale a 100 e quindi si può accedere ai benefici previdenziali. Quota 41 non fa riferimento all’età anagrafica ma esclusivamente ai 41 anni contributivi previsti per prendere benefici previdenziali”.

La Quota 100 e la Quota 41 non sono certo delle novità in campo pensionistico. Attualmente per ottenere la pensione anticipata servono 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi di contributi per le donne (ma a partire dal 2019 la soglia verrà innalzata di 5 mesi per essere adeguata all’aspettativa di vita). Già oggi però alcune tipologie di lavoratori vanno in pensione con 41 anni di contributi: si tratta dei lavoratori così detti precoci, ovvero coloro che hanno iniziato a versare i contributi prima della maggiore età. La legge di bilancio del 2017, infatti (citiamo dal testo di legge)

“introduce, in favore di alcune categorie di soggetti, una riduzione del requisito di anzianità contributiva (per la pensione) indipendente dall’età anagrafica. I beneficiari sono costituiti dai soggetti che abbiano almeno 12 mesi di contribuzione per periodi di lavoro effettivo precedenti il compimento del diciannovesimo anno di età, siano iscritti ad una forma di previdenza obbligatoria di base da una data precedente il 1° gennaio 1996 e si trovino in una delle fattispecie ivi individuate”.

Anche i lavoratori precoci che utilizzano già la Quota 41, al pari di tutti gli altri, dovranno fare i conti con l’innalzamento dei requisiti anagrafici per andare in pensione. Dal 2019 per l’uscita anticipata ci vorranno dunque 41 anni e 5 mesi di contributi. Saranno invece esclusi dal meccanismo coloro che svolgono lavori usuranti.

Anche la Quota 100, al pari della Quota 41, non è una novità nel settore previdenziale. Nella scorsa legislatura sono state fatte già due proposte in tal senso, entrambi risalenti a marzo 2015. La prima (a firma di Cesare Damiano ed altri parlamentari della minoranza dem) prevedeva l’accesso al trattamento pensionistico ai lavoratori che “possono conseguire, quale somma tra il requisito anagrafico e quello contributivo, la quota 100”. Unici paletti: 35 anni di contributi versati e un’età anagrafica non inferiore ai 62 anni.  Per fare un esempio: con questo sistema un lavoratore con 38 anni di contributi potrebbe andare in pensione già a 62 anni, a 63 anni con 37 di contributi etc.

La proposta di legge della Lega prevedeva invece un requisito minimo di 35 anni di contributi o in alternativa di 58 anni di età. Una proposta dunque anche più generosa.

 

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